Gli operatori della salute, ed in primis i medici, se
fumatori, inviano messaggi comportamentali scorretti e non possono invitare in
maniera convincente i propri pazienti a smettere di fumare, né tanto meno
possono essere in grado di curare i disturbi da addiction (dipendenze da
sostanze, da farmaci, le dipendenze comportamentali, etc).
I loro comportamenti, infatti, non sono sicuramente
ininfluenti sugli stili di vita dei propri pazienti e i loro interventi di prevenzione
saranno meno efficaci, anzi i medici che fumano rappresentano una sorta di
promotori occulti del tabacco.
Soprattutto i medici di famiglia, dovrebbero svolgere un
ruolo importante nel settore dell'educazione sanitaria al pubblico; e ciò è
particolarmente vero per quanto riguarda il fumo di tabacco. Tale ruolo può
essere svolto proficuamente solo se non fuma. Tra i medici fumatori vi è
difficoltà a parlare al pubblico sui danni da fumo e vi è anche un maggiore
permissivismo nel consentire il fumo là dove è vietato, come per esempio nelle
strutture sanitarie.
Purtroppo, in Italia la prevalenza di medici fumatori è
addirittura superiore a quella della popolazione generale, con punte che
raggiungono il 40%, contro il 2% del dato epidemiologico statunitense. Questo è
un fenomeno oggettivamente grave, che è indispensabile correggere, pena la
mancanza di credibilità dell’intera categoria (1).
A tal proposito si ricorda che nel 2003 il direttore
dell'Istituto farmacologico Mario Negri Silvio Garattini ha proposto di
"Escludere dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) i medici che fumano
nell'esercizio della loro professione".
Per il noto farmacologo dell’Istituto Mario Negri se un
medico fuma durante le ore di lavoro scatta il conflitto di interesse con la
struttura sanitaria dove lavora e quindi con il SSN. Infatti il cattivo esempio
del sanitario induce a fumare il suo “cliente” e questo, a sua volta, costa di
più a causa delle malattie che sopravvengono per colpa della sigaretta. Per
Garattini occorre inserire una clausola nel prossimo contratto nazionale di
categoria.
Può essere una provocazione, ma si dovrebbero riprendere realmente
i medici che fumano in servizio e invitarli seriamente a partecipare a percorsi
antifumo.
Alcuni affermano che la sigaretta è legale e ognuno è
libero di fumare, e dunque rivendicano la propria libertà di fumare, ma quanto
è possibile parlare di libertà nei confronti dell’uso di sostanze che sono in
grado di creare dipendenza e che quindi non ci rendono liberi, bensì schiavi?
1. Enea D, Tinghino B: Medici che fumano. Tabaccologia,
p. 46-47 2/2003.
Guglielmo Lauro
(medico)
Un medico che fuma dovrebbe conoscere i danni del tabacco, non dovrebbe nemmeno avvicinarsi alle sigarette, ma se fuma ha scarsa consapevolezza o è scarsamente informato, in entrambi i casi non mi farei curare da chi non sa curare sé stesso!
RispondiEliminaPerché puntare il dito solo verso i medici fumatori e non verso i medici grassi?
RispondiEliminaInnanzitutto le abitudini alimentari e l'esposizione ai fattori di rischio sono due cose diverse. Mangiare fa naturalmente parte della vita di una persona, fumare no. Una dieta sana e variata, un'educazione alimentare adeguata e l'attività fisica regolare possono aiutare a prevenire il sovrappeso e l'obesità. Tuttavia la genetica ha un impatto indiscutibile sulla epidemiologia dell'obesità e contribuisce significativamente allo sviluppo di essa. Un quarto delle cause dell'obesità si devono a fattori genetici, il resto a fattori ambientali e culturali.
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