lunedì 30 novembre 2009

Cattivi modelli istituzionali non fanno bene alla salute pubblica

Gli operatori della salute, ed in primis i medici, se fumatori, inviano messaggi comportamentali scorretti e non possono invitare in maniera convincente i propri pazienti a smettere di fumare, né tanto meno possono essere in grado di curare i disturbi da addiction (dipendenze da sostanze, da farmaci, le dipendenze comportamentali, etc).
I loro comportamenti, infatti, non sono sicuramente ininfluenti sugli stili di vita dei propri pazienti e i loro interventi di prevenzione saranno meno efficaci, anzi i medici che fumano rappresentano una sorta di promotori occulti del tabacco.
Soprattutto i medici di famiglia, dovrebbero svolgere un ruolo importante nel settore dell'educazione sanitaria al pubblico; e ciò è particolarmente vero per quanto riguarda il fumo di tabacco. Tale ruolo può essere svolto proficuamente solo se non fuma. Tra i medici fumatori vi è difficoltà a parlare al pubblico sui danni da fumo e vi è anche un maggiore permissivismo nel consentire il fumo là dove è vietato, come per esempio nelle strutture sanitarie.
Purtroppo, in Italia la prevalenza di medici fumatori è addirittura superiore a quella della popolazione generale, con punte che raggiungono il 40%, contro il 2% del dato epidemiologico statunitense. Questo è un fenomeno oggettivamente grave, che è indispensabile correggere, pena la mancanza di credibilità dell’intera categoria (1).
A tal proposito si ricorda che nel 2003 il direttore dell'Istituto farmacologico Mario Negri Silvio Garattini ha proposto di "Escludere dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) i medici che fumano nell'esercizio della loro professione".
Per il noto farmacologo dell’Istituto Mario Negri se un medico fuma durante le ore di lavoro scatta il conflitto di interesse con la struttura sanitaria dove lavora e quindi con il SSN. Infatti il cattivo esempio del sanitario induce a fumare il suo “cliente” e questo, a sua volta, costa di più a causa delle malattie che sopravvengono per colpa della sigaretta. Per Garattini occorre inserire una clausola nel prossimo contratto nazionale di categoria.
Può essere una provocazione, ma si dovrebbero riprendere realmente i medici che fumano in servizio e invitarli seriamente a partecipare a percorsi antifumo.
Alcuni affermano che la sigaretta è legale e ognuno è libero di fumare, e dunque rivendicano la propria libertà di fumare, ma quanto è possibile parlare di libertà nei confronti dell’uso di sostanze che sono in grado di creare dipendenza e che quindi non ci rendono liberi, bensì schiavi?
 
1. Enea D, Tinghino B: Medici che fumano. Tabaccologia, p. 46-47 2/2003.
Guglielmo Lauro
(medico)